
L’approccio familiare
Estratto dal libro “Manuale di alcologia”, V. Hudolin – Ed. critica a cura dell’AICAT – Ed. Erikson 2015
Ultimamente si parla sempre più spesso del trattamento familiare degli alcolisti (Hudolin Vl., 1975; Hudolin Vl. e coll., 1985; Hudolin Vl., 1986; Gacic B., 1978). È difficile sostenere che il gruppo familiare non sia colpito dal disturbo cronico di uno dei suoi membri; per questo diventa necessario iniziare il trattamento con l’intero gruppo familiare, nel caso sia di disturbi psichiatrici che dell’alcolismo.75 Il trattamento familiare e la terapia familiare possono essere condotti con una singola famiglia, oppure con un gruppo di famiglie, un gruppo multifamiliare.76 Secondo il trattamento familiare sistemico, sviluppatosi a partire dagli anni Cinquanta, al manifestarsi del disturbo comportamentale all’interno della famiglia seguono77 le modificazioni di ruolo di alcuni dei suoi membri e le difficoltà nella comunicazione e nelle relazioni. Questa situazione impedisce il raggiungimento di un equilibrio positivo del sistema, blocca la crescita e la maturazione dei membri della famiglia ed è causa di un disagio profondo. Invece che la circolarità delle interazioni si ha il blocco del sistema familiare e si instaura una omeostasi negativa, disfunzionale. Da questo momento in poi non è più corretto parlare di malattia-disturbo del singolo alcolista, ma bisogna parlare piuttosto di una situazione di sofferenza dell’intero sistema.
L’operatore deve considerare come «paziente» non il singolo, l’alcolista, ma la famiglia intera.78 E questo è molto difficile sia per il medico, tradizionalmente formato, che per un operatore non medico. Basta anche solo il fatto di considerare alla stessa stregua tutto il gruppo familiare per portare ad un miglioramento, anche se non era necessario avviare il trattamento familiare.79 L’approccio familiare si basa, come già ricordato in precedenza, sulla teoria dei sistemi elaborata da von Bertalanffy nel 1947 (von Bertalanffy L., 1950, 1956, 1968, 1969,1975,1983).
L’approccio familiare sistemico viene usato a scopo non solo terapeutico, ma anche di prevenzione e di riabilitazione, e non soltanto nel trattamento dell’alcolismo, ma in genere in tutti i casi che presentano disturbi psichici o del comportamento.80 Per questo motivo l’approccio familiare dovrebbe rientrare nella formazione del medico, dell’operatore paramedico, di altri specialisti e dei volontari.81 Spesso, sia il trattamento familiare che la terapia familiare vengono indicati con il termine di trattamento sistemico e vengono usati quasi come sinonimi. In verità la terapia familiare non è un trattamento sistemico e spesso sono altri i modelli teorici cui fa riferimento.82 In psichiatria non esistono principi univoci in tema di terapia familiare, nemmeno se rivolta agli alcolisti. In psichiatria, in effetti, la terapia familiare è una tecnica relativamente recente; risale infatti agli anni ’50. Nella maggior parte dei trattamenti vengono coinvolti, saltuariamente, tutti i membri della famiglia, qualche volta si pratica il trattamento individuale con alcuni membri e qualche volta vengono coinvolte persone che possono sostituire i membri della famiglia che mancano.83 Per trattamento familiare noi intendiamo il trattamento multifamiliare, trattamento nel quale sempre più frequentemente viene coinvolta anche la comunità in cui il paziente vive e lavora.84
Per il suo contenuto, il lavoro con la famiglia può essere terapeutico, educazionale oppure sociale. Secondo la maggior parte degli autori va prevista una combinazione di tutti questi aspetti. Si è dimostrato molto produttivo il lavoro svolto con i membri della famiglia dagli assistenti sociali, dagli infermieri professionali, dai volontari e dagli stessi alcolisti in trattamento e dai loro familiari. Si è visto che non è assolutamente indispen- sabile fare ricorso alla figura del medico.85
Il lavoro con i membri della famiglia è spesso reso difficile dalle resistenze opposte dagli alcolisti stessi e dai loro familiari. Non è raro ad esempio il caso in cui la moglie dell’alcolista si rifiuta di collaborare «perché tanto è lui che beve», oppure perché convinta che una volta che il marito avrà smesso di bere le cose si rimetteranno a posto da sole.86 Queste resistenze si fanno più forti se il lavoro con la famiglia non viene iniziato fin dal primo momento. Una volta che l’alcolista ha superato la crisi, è convinto di essere «guarito» e che non sia necessario iniziare il trattamento. La stessa convinzione ce l’hanno i familiari.87
Per questo motivo, bisogna porsi una regola fondamentale: l’alcolista non dovrebbe iniziare il trattamento se non ci sono la collaborazione e il coinvolgimento dei familiari, e la loro disponibilità a occuparsi oltre che del proprio familiare anche degli altri alcolisti della comunità multifamiliare. Bisogna far leva sul desiderio contingente dei familiari di risolvere il problema, per far loro accettare queste semplici condizioni e definire le modalità del contratto e del lavoro terapeutico.88
Naturalmente il trattamento va fatto in una comunità di famiglie, cioè in una comunità multifamiliare. I familiari dell’alcolista vanno in primo luogo adeguatamente informati e educati sugli aspetti principali dell’alcolismo, ricorrendo magari ad un manuale specifico come quello che noi abbiamo recentemente approntato (Hudolin Vl., 1987). Al termine di questa fase si sottopongono i familiari ad un esame, per una verifica di quanto è stato assimilato.89
Naturalmente i membri della famiglia dell’alcolista devono modificare il proprio comportamento e impegnarsi a conseguire l’astinenza dell’intero gruppo familiare.90 Troveranno un valido aiuto nelle altre famiglie all’interno della comunità multifamiliare e questo obiettivo sarà raggiungibile molto in fretta. È fondamentale che l’alcolista e i suoi familiari vengano inseriti nel Club degli alcolisti in trattamento. Se l’alcolista è ricoverato in ospedale e le sue condizioni psicofisiche lo consentono può già iniziare a frequentare le riunioni del Club; se questo non è possibile inizieranno la frequenza i familiari.91
Secondo quanto riporta la letteratura e in base alle esperienze fatte in molti Paesi, e anche in base alle nostre, possono occuparsi del trattamento dell’alcolista e della sua famiglia, naturalmente dopo essere stati adeguatamente formati: l’alcologo, lo psichiatra, il medico di base, lo psicologo, l’assistente sociale, l’infermiere professionale, l’alcolista stesso o i suoi familiari e altri operatori volontari.92
Il modello di trattamento usato dipenderà ovviamente dalle conoscenze e dalla formazione dell’operatore. In molti Paesi viene affidata la conduzione a operatori paramedici adeguatamente formati. In Italia molto spesso sono i medici dei reparti di medicina a occuparsi del trattamento degli alcolisti. La tendenza attuale è di affidare il trattamento a operatori paramedici e volontari, e i compiti di coordinamento al servizio sanitario di base. I programmi di controllo dei disturbi alcolcorrelati richiedono una buona organizzazione e una buona integrazione nella comunità locale e nei luoghi di lavoro. I Club degli alcolisti in trattamento, come già abbiamo avuto modo di dire, hanno un ruolo insostituibile in questi programmi.93
Oggi il progresso scientifico è molto rapido. Bisogna perciò che i programmi di controllo dei disturbi alcolcorrelati vengano costantemente aggiornati. È indispensabile la formazione permanente di chi opera nei programmi, in particolar modo degli operatori paramedici e volontari.
Ripetiamo, se ancora ce ne fosse bisogno, che senza l’attuazione sistematica di programmi di educazione alla salute intelligentemente predisposti, non è possibile ottenere risultati proficui nella prevenzione primaria.94
Note a cura di Giusepe Corlito
- 75 Qui il linguaggio usato da Hudolin rimane piuttosto interno a quello medico: parla di «disturbo cronico» , di «trattamento», «alcolismo», tutti termini che lui stesso ha contribuito a mettere in crisi, pur utilizzandoli; oggi diremo: «comportamento recidivante», «processo di cambiamento», «problema alcolcorrelato».
- 76 Hudolin richiama la possibilità del gruppo multifamiliare, che era una delle prime forme sperimentate nella terapia familiare, possibilità successivamente trascurate.
- 77 Questo «seguono» sembra introdurre una linearità nella circolarità delle relazioni familiari: prima si ma nifesta il «disturbo comportamentale», dopo le modificazioni di ruolo» dei membri e «le difficoltà nella comunicazione», come se quel disturbo causasse le modificazioni successive e non ne fosse causato, come il riferimento alla «circolarità» poco più avanti dimostra che Hudolin aveva ben chiaro (ovviamente); ciò indica come è difficile anche sul versante linguistico rendere la logica dell’approccio sistemico.
- 78 Hudolin introduce uno degli elementi cardine dell’approccio ecologico sociale, cioè che la sofferenza alcolcorrelata non riguarda il singolo, ma l’intera famiglia in base all’approccio sistemico.
- 79 Hudolin ritiene che considerare il problema alcolcorrelato come proprio dell’intera famiglia è di per sé un fattore mutativo dell’equilibrio familiare e può produrre un miglioramento della situazione, anche se non viene attivato un trattamento familiare vero e proprio. È uno dei principi del funzionamento del Club, il cosiddetto approccio familiare (o multifamiliare): «osservare la famiglia nel suo insieme».
- 80 Hudolin insiste sulla capacità mutativa dell’approccio familiare sistemico di produrre un cambiamento indipendentemente dal suo uso terapeutico, che è quanto accade nel Club.
- 81 Hudolin non cesserà mai in tutto il suo lavoro di insistere sulla necessità di una formazione omogenea di tutti gli operatori professionali e volontari, in particolare per l’approccio familiare, che poco sopra ha dichiarato è «difficile» per la formazione tradizionale degli operatori medici e non medici.
- 82 Hudolin insiste a distinguere tra la terapia familiare e l’approccio sistemico e che spesso sono erroneamente sovrapposti (cfr. il libro del 1985) in quanto la terapia familiare che è stata clinicamente applicata spesso fa riferimento ad altre teorie (ad es. la psicoanalisi). Tale insistenza serve, poi, a chiarire lo specifico approccio familiare del Club.
- 83 Vengono qui indicate pratiche terapeutiche solo parzialmente sistemiche, applicate in psichiatria, anche se lo stesso Club nell’accogliere individui singoli, con legami familiari distrutti, utilizzano la figura volontaria del «familiare sostitutivo», oggi meglio detto «familiare solidale».
- 84 Ecco qui la ragione della precedente insistenza: per «noi» dei Club il «trattamento familiare», poi meglio detto «approccio familiare», è quello «multifamiliare», che va anche oltre le famiglie del Club per coinvolgere le famiglie della comunità sociale.
- 85 Hudolin prosegue nel sostenere che «il lavoro con la famiglia» non è inevitabilmente un intervento terapeutico, appannaggio del medico, ma che ha aspetti «educazionali» e «sociali», comunque con un potenziale mutativo indipendentemente da chi lo promuove.
- 86 Come sempre Hudolin rovescia il suo ragionamento: le «difficoltà» al cambiamento, nel caso in esame verso l’approccio familiare, non sono solo del medico, vengono anche dalle stesse famiglie con problemi alcolcorrelati.
- 87 Qui le «difficoltà» vengono individuate come «resistenze» ed esse aumentano quando la famiglia con sofferenze alcolcorrelate è uscita dalla crisi, per cui l’approccio familiare è necessario fin dall’inizio, fin dal primo colloquio che precede l’ingresso della nuova famiglia nel Club. Le resistenze non sono solo della «persona» che beve, ma di tutti i membri della sua famiglia.
- 88 Nel trattamento complesso, oggetto di questo capitolo, inteso come premessa teorico-pratica del Club, l’«alcolista» (oggi diremo la «persona che usa l’alcol») non dovrebbe intraprendere il suo percorso se non si è ottenuto il coinvolgimento della sua famiglia. Più volte Hudolin ha sostenuto la stessa cosa per l’ingresso al Club: alcuni hanno inteso questo come una «rigidità» dell’indicazione hudoliniana e hanno chiuso un occhio, ammettendo al Club anche chi si presenta da solo, altri all’opposto non hanno accettato i singoli; in realtà come si capisce in questo passo occorre far tesoro della crisi della famiglia quando si presenta al Club per coinvolgere tutti da subito; se questo non è possibile per motivi contingenti andrebbero avviati una serie di colloqui (cioè un prolungamento del primo colloquio di ingresso al Club) finché non sia chiaro se la famiglia «naturale» non può essere coinvolta o è del tutto inesistente ed è necessario predisporre una famiglia solidale (o sostitutiva come si diceva allora).
- 89 All’epoca in cui questo manuale venne scritto una procedura diffusa, soprattutto nelle regioni del Nord-Est d’Italia (quelle di prima espansione dei Club), prevedeva che nell’ambito di un programma «dispensariale» (una sorta di ospedalizzazione diurna) si tenesse un percorso educativo per le famiglie con problemi alcolcorrelati, che si concludeva con un «esame» di verifica dell’apprendimento. Il dispensario era figlio dell’ospedale diurno, esistente presso la Clinica Psichiatrica di Zagabria, diretta da Hudolin, che era uno dei sistemi introdotti dalla psichiatria sociale nell’abito della gestione a porte aperte dell’ospedale psichiatrico. Con l’avviarsi di percorsi di «territorializzazione» dei programmi alcologici, centrati sull’ingresso precoce e diretto al Club, che vengono avviati in quegli anni da Hudolin, venuto a contatto con la rete dei servizi territoriali italiani, tale momento educazionale è sostituito dalla Scuola Alcologica Territoriale di primo modulo, cioè una serie di 10 incontri settimanali, paralleli alle sedute del Club, in cui vengono insegnate tutte le tematiche legate all’uso dell’alcol e al programma del Club. In questa versione l’«esame» finale venne soppresso.
- 90 La terminologia qui è ancora quella tradizionale: «la famiglia dell’alcolista» invece della «famiglia con problemi alcolcorrelati», come diremo oggi più conseguentemente all’approccio sistemico, per cui non esiste «l’alcolista» o il «paziente» — come è scritto poco più sopra — e la loro famiglia, ma è il nucleo nel suo insieme che è portatore del problema. Abbiamo visto che Hudolin ha chiara la questione, ma ha mantenuto il termine «alcolista», il cui superamento riteneva necessario, ma non ancora maturo (v. Assisi). È ovvio che se l’approccio è sistemico l’obiettivo dell’astinenza è dell’intera famiglia.
- 91 Troviamo in questo passaggio l’inizio del discorso sull’inserimento precoce delle famiglie nel Club fin da allora, quando l’approccio prevalente al problema era quello medico del ricovero ospedaliero.
- 92 È delineato chiaramente il processo per cui l’intervento complesso per i problemi alcolcorrelati è di tipo pluridisciplinare, come è tipico dell’alcologia fin dalla sua fondazione, avvenuta pochi anni prima, ma soprattutto che esso può essere detecnicizzato e affidato alle persone con PAC, alle famiglie e ai volontari.
- 93 I Club sono considerati da Hudolin, fin dall’epoca in cui scrisse questo Manuale e anche prima, centrali nei programmi alcologici attivati nella comunità locale.
- 94 Questo passaggio è di grande interesse per capire come Hudolin intendesse il rapporto con la scienza: egli pensava che bisognasse rimanere costantemente al passo e che i programmi alcologici, centrati sui Club, dovessero essere «costantemente aggiornati» alla luce dei progressi della scienza, per cui tutti coloro che prestano il loro servizio nei programmi (professionisti e volontari) devono essere formati in maniera permanente e la prevenzione primaria deve contare su programmi educativi intelligenti. È quello che oggi abbiamo chiamato «educazione ecologica continua», intesa come superamento del termine formazione (che trae il suo significato dal «dare forma») per sottolineare l’importanza del sapere esperienziale e tra pari.